22 febbraio, Anniversario della partenza di Primo Levi dal Campo di Fossoli
| 22 FEBBRAIO 1944 | PARTE IL CONVOGLIO DI PRIMO LEVI VERSO AUSCHWITZ |
Per ricordare l'anniversario della partenza di Primo Levi dal Campo di Fossoli con destinazione finale Auschwitz, la Fondazione Fossoli pubblica la lunga riflessione dello scrittore sulla deportazione e sulla necessità di non dimenticare, che sarà utilizzata come premessa nel primo catalogo del Museo Monumento al Deportato (1973).
I cataloghi del Museo Monumento al Deportato pubblicati (nell’ordine 1973, 1997, 2003, 2016), sono esposti in una delle teche della mostra La Cura della Memoria. Il Museo Monumento al Deportato, ricordo e ammonimento, allestita nella Sala dei Cervi del Palazzo dei Pio sino al 1° maggio.
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| PREMESSA CATALOGO MUSEO MONUMENTO AL DEPORTATO 1973 |
La storia della deportazione e dei campi di concentramento non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: ne rappresenta il fondamento condotto allo estremo, oltre ogni limite della legge morale che è incisa nella coscienza umana. Se il nazionalsocialismo avesse prevalso (e poteva prevalere) l'intera Europa, e forse il mondo, sarebbero stati coinvolti in un unico sistema, in cui l'odio, l'intolleranza e il disprezzo avrebbero dominato incontrastati.
La dottrina da cui i campi sono scaturiti è molto semplice, e perciò molto pericolosa: ogni straniero è un nemico, ed ogni nemico deve essere soppresso; ed è straniero chiunque venga sentito come diverso, per lingua, religione, aspetto, costumi o idee. Che questa dottrina abbia portato, nel giro di pochi anni, a milioni di vittime, è un segno infausto: è segno che, quasi parassita del seme umano, accanto al bisogno di amore si annida il seme dell'intolleranza, e può germinare e ingigantire se le circostanze lo consentono.
I primi “stranieri”, nemici per definizione del popolo tedesco, furono trovati in patria. Già nel 1933, pochi mesi dopo che il maresciallo Hindenburg aveva conferito ad Adolf Hitler l'incarico di costituire il nuovo governo, esistevano in Germania circa 50 campi di concentramento: la loro organizzazione era mal definita, ma assai ben definito il loro scopo. Dovevano servire, e servirono, a stroncare tutte le forze in cui il nazionalsocialismo nascente ravvisava possibili avversari. Allestiti frettolosamente in caserme, vecchie fortezze, magazzini abbandonati, furono affidati alla polizia o all'appena costituito corpo delle 'sezioni d'assalto' (SA). L'internamento non era preceduto da processo: era sufficiente una denuncia o un sospetto.
Nel 1939 il numero dei campi superava il centinaio. Si valuta a 300.000 il numero delle vittime di questo periodo, in massima parte comunisti e socialdemocratici tedeschi, oltre a molti ebrei: principalmente intesi e temuti come strumenti di terrore, i campi di concentramento non erano ancora diventati centri di massacro.
L'inizio della seconda guerra mondiale segna una svolta nella storia dei campi. Con l'occupazione della Polonia, la Germania entra in possesso (sono parole di Eichmann) delle «fonti biologiche dell'ebraismo» due milioni e mezzo di ebrei, oltre a un numero imprecisato di civili, partigiani e militari catturati in “azioni speciali”. È questo uno sterminato esercito di schiavi e di vittime predestinate: lo scopo ultimo del “Lager” si sdoppia. Essi non sono più soltanto strumenti di repressione, ma ad un tempo sinistre macchine di sterminio organizzato, e centri di lavoro forzato, da cui si conta di ottenere aiuto allo sforzo bellico del Paese. Ognuno dei campi primogeniti prolifera: si costituiscono nuovi “campi esterni” (Aussenlager) piccoli e grandi, molti fra questi diventano a loro volta centri di irradiamento, fino a coprire di una rete mostruosa tutto il territorio metropolitano e tutti i Paesi che vengono via via occupati e sottomessi.
Nasce cosi, nel cuore della civile Europa e nel pieno del secolo ventesimo, il più brutale dei sistemi schiavisti che l'intera storia umana ricordi.
Dalla Norvegia e dall'Ucraina, dalla Grecia e dall'Olanda, dall'Italia e dall'Ungheria partono ogni giorno decine e decine di treni: sono stipati di ”materiale umano”, uomini, donne e bambini innocenti e indifesi, sigillati per giorni e settimane nei vagoni merci, senz’acqua e senza cibo. Sono ebrei, zingari, gente catturata a caso nel corso di un rastrellamento. I treni convergono sui campi di cui sono ormai cosparse la Germania e la Polonia, ma solo un quarto o un quinto dei nuovi arrivati varcano i recinti di filo spinato e vengono condotti al lavoro. Gli altri, cioè tutti i bambini, i vecchi, i malati, gli inabili, e la quota che eccede il fabbisogno dell'industria tedesca, vengono uccisi, con la stessa indifferenza e con gli stessi metodi con cui si eliminano gli insetti nocivi.
La condizione dei deportati che superano la selezione d'ingresso e diventano prigionieri (Haftlinge) è molto peggiore di quella degli animali da lavoro. La razione alimentare, diversa da campo a campo, è inferiore sempre al limite di sopravvivenza: la fame è una costante del Lager, provoca uno stato di debolezza crescente, di estrema sensibilità alle infezioni. Il lavoro è estenuante: si fatica al freddo, sotto la pioggia e la neve, nel gelo e nel fango, sospinti da pugni, calci e frustate: non ci sono giorni di riposo. Non c'è la speranza di una tregua: chi si ammala va all'infermeria, ma questa è l'anticamera della morte,e tutti lo sanno. Un proverbio del Lager dice: «Un prigioniero onesto non vive più di tre mesi».
Anche la fratellanza e la solidarietà, ultima forza e speranza degli oppressi, vengono meno in Lager. La lotta è di tutti contro tutti: il primo nemico è il tuo vicino, che insidia il tuo pane e le tue scarpe, che con la semplice sua presenza ti sottrae un palmo di giaciglio. È uno straniero, che condivide le tue pene ma è lontano da te: nei suoi occhi non leggi amore, ma invidia se soffre più di te, paura se soffre di meno. La legge del campo ne ha fatto un lupo: tu stesso devi lottare per non diventare lupo, per rimanere uomo.
Per questo nuovo orrore si e dovuto coniare un nuovo nome, genocidio: significa lo sterminio in massa di intere popolazioni. Ma a questo risultato non si arriva facilmente. Il lavoro estenuante, le fucilazioni, le iniezioni tossiche, le fosse comuni non bastano, e inoltre non si prestano a quella impersonalità che è palesemente desiderabile per risparmiare traumi emotivi agli esecutori materiali, e per diluire e disperdere le responsabilità. A risolvere il problema provvedono congiuntamente l'amministrazione delle SS, ormai vero Stato nello Stato, e l'industria tedesca.
Per successive approssimazioni, con tentativi freddamente condotti su “lotti” di cavie umane, con errori e correzioni e ripensamenti, si arriva così al coronamento del sistema. Verso la fine del 1942 i committenti ed i tecnici hanno deciso sul modo migliore di uccidere milioni di esseri umani inermi, rapidamente, economicamente e in silenzio. Si impiegherà l'acido cianidrico, in una forma già da tempo usata per liberare dai ratti le stive delle navi: si costruiranno in tutta fretta, ma con discrezione impianti nuovi, un'industria mai vista prima, la fabbrica della morte. Le attrezzature, e la loro sinistra funzione, vengono esorcizzate con vaghi eufemismi: nel gergo ufficiale si parla di “impianti speciali”, “trattamento particolare”, “emigrazione nei territori orientali”.
Auschwitz è il campo-pilota, in cui le esperienze fatte altrove sono raccolte, confrontate e condotte a perfezione. Nel 1943, dal campo centrale di Auschwitz dipendono almeno 20 “campi esterni”, ma uno di questi, Birkenau (in polacco Brzezinka) è destinato a diventare famoso. Possiede camere blindate sotterranee, in cui possono essere stipate complessivamente 3000 persone: sono le camere a gas, in cui la morte per veleno avviene in pochi minuti. Ma poiché non è facile far sparire i cadaveri, esiste a Birkenau anche il complemento, un colossale impianto di combustione, i forni crematori. L'attività mostruosa di Auschwitz-Birkenau è nota a pochissimi e sospettata da pochi: nessuno esce a portare al mondo la mala novella. E tradita solo dalla colonna di fumo dei camini, che porta lontano l'odore della strage, ma la popolazione dei dintorni è atterrita e tace. Nei mesi di aprile-maggio 1944 sono stati uccisi ad Auschwitz 60.000 esseri umani al giorno.
Si tocca qui il fondo della barbarie. È speranza di ogni uomo che queste immagini siano percepite come un orrendo ma solitario frutto della tirannide e dell'odio: che se ne ravvisino le radici in molta della sanguinosa storia dell'umanità, ma che il frutto non dia nuovo seme, né domani né mai. Ed è speranza che da ogni uomo quanto qui si documenta venga visto e ricordato come non ripetibile aberrazione fino al più lontano avvenire.
Primo Levi